Note e riff vari

Non c’era alcun dubbio sul fatto che fossi uno tra i più virtuosi chitarristi di Milano Est, o almeno così mi piaceva pensarla. Me ne stavo rinchiuso nella mia stanza a scrivere testi e spartiti delle mie canzoni, arpeggiavo, correggevo e cercavo di spremere dalla mia chitarra il suono giusto per la canzone di cui vantarmi con gli amici.
Francesco guarda che si fredda, non te lo dico più!
Mia mamma ci provava, a stanarmi dalla mia stanza e dai miei riff, ma doveva accettare il fatto che ero un chitarrista d’eccezione e che dentro quella mia stanza avevo praticamente realizzato il mio studio di registrazione (anche se confesso che mi mancava un po’ tutto il necessario per incidere).
Le dita correvano veloci, il “tap tap” sul ponte della chitarra produceva note e suoni mentre con gli effetti mi lanciavo in distorsioni, reverberi e quant’altro era necessario per modellare la mia musica.
Ogni volta che finivo un assolo mi sentivo Jimmy Hendrix a Woodstock, mentre lamia Gibson Diavoletto ricordava più che altro gente seria come gli ACDC.
Non ero l’unico a stimare il mio talento. A scuola c’erano ogni anno iniziative di vario tipo a fine anno, ma soprattutto la sfida in stile “School of Rock” tra le varie band, che si affrontavano sul palco una dopo l’altra a colpi di riff, power chords e tapping.

- Francesco ci sei? Non fartelo ripetere un’altra volta perché mi arrabbio!
“Troppo tardi mamma” pensavo, mentre con la fantasia mi vedevo già sul palco a fine anno a strappare gli applausi di tutti i compagni di scuola mentre infuocavo con la mia Gibson l’aria acre di fine anno.
Per quel giorno smisi di fantasticare e cedetti al richiamo e ai morsi della fame, per la gioia di mia mamma che era comprensibilmente esausta del mio perseverare nello studio della chitarra (anche perché mi portava a trascurare, e non poco, libri e voti...). Lo so, avrei dovuto studiare di più al liceo, ma cosa potevo farci se la chitarra mi reclamava al meno per metà dei miei pomeriggi e per tutte le mie serate? A volte non uscivo neanche il weekend, specialmente se partivo a comporre qualcosa di mio o a rivisitare alcuni dei pezzi che avevano fatto la storia del rock.
La festa in quelle sere ce l’avevo dentro, e volevo brindare con la mia chitarra fino a svenire sul letto (ovviamente lo facevo senza disturbare nessuno, facendo uscire il suo elettrificato direttamente in cuffia, questo ci tengo a precisarlo!).
La sfida di fine anno però arrivò ben presto, e fu così che arrivò il mio momento. Avevo scelto di partecipare nella categoria “virtuosi e solisti” perché di perdere tempo con una band non ne avevo assolutamente voglia. Io ero il numero uno e volevo emergere da solo, in compagnia solamente della mia Gibson.
All’inizio non fu subito facile, in fondo tutti gli sguardi intorno un po’ mi condizionavano e mi portavano, in tutta franchezza, a rilanciare sui virtuosismi in modo un po’ forzato; poi, come si conviene a una nuova stella del rock, domai quelle piccole ansie e iniziai a sciogliere la mia musica sempre più dolcemente.

Intorno a me gli sguardi si facevano sempre più compiaciuti, il ritmo saliva e diventavo sempre più consapevole che si, stavo spaccando alla grande! Da una parte all’altra del pubblico sentivo mormorare, inizialmente, apprezzamenti e soddisfazione, poi iniziai più a non sentire nulla, mi rividi concentrato sul palco, da solo, con un riflettore puntato e il buio intorno a me, lanciato verso un successo che speravo non finisse mai. Sentivo Jimmy Page parlarmi da dietro la folta chioma, sentivo i Guns scivolarmi dentro la testa e fare a botte con gli ACDC, sentivo gli Who che mi chiamavano “Seeker” e Bon Jovi scatenare tutta la sua forza su un microfono che non era di quel palco. Dal profondo della mia mente erano arrivati anche gli Scorpions, poi i Nirvana e senza nessuna riverenza i Pixies; mi sentivo veramente al top e forse si, forse nel mio piccolo ero veramente arrivato al top dei miei virtuosismi, perché poi tornai nuovamente ad aprire gli occhi sul palco reale e vidi intorno a me applausi e grida, sguardi gasati dall’ultimo riff con il quale avevo letteralmente incendiato la platea. Devo proprio ammetterlo, io e gli ACDC eravamo un binomio davvero indissolubile e quel giorno avevamo funzionato come non mai!
Era la mia prima volta su un palco, la prima volta che dovevo confermare a me stesso che si, potevo considerarmi uno dei chitarristi più virtuosi di Milano Est, cose da raccontare in Piazza Dateo senza troppe esitazioni, vantandomi ma soprattutto, al di là delle esagerazioni, mostrandomi soddisfatto fino in fondo della mia strada, quella che tra un diesis e un bemolle porta dritto all’armonia.
Io sono così, sono rock e ritmo, blues e stoppati, ed è così che scrivo per dare il mio piccolo contributo a una causa come questa. Mi piace regalare e donare emozioni, mi piace donare. Farlo per la prima volta da un palco con la mia Gibson o dare direttamente il mio sangue per una causa così nobile fa quasi poca differenza. L’importante è donare, e farlo come se fosse sempre la prima volta.

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Due prime volte è meglio di una!
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Io ero determinata a donare e mio padre, quasi a protezione, mi ha accompagnata...quella mattina di 14 anni fa doppia sorpresa: anche lui ha deciso di provarci! Qui siamo al nostro primo traguardo, ovviamente sempre insieme! L'emozione è stata tanta, orgogliosi l'uno dell'altro per aver cominciato e continuato questo percorso.

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Sarah Maestri per Avis e #LaPrimaVolta
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Sarah Maestri - Testimonial

La prima volta che ho ricevuto una trasfusione di sangue? Avevo due anni e mezzo. Ho dei bellissimi ricordi di quei momenti che hanno contrassegnato la mia infanzia, tra camici bianchi, esami e terapie per combattere una malattia emolitica.

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