L'umore non era dei migliori quel giorno. Il sole bruciava le case e faceva fumare le strade d'asfalto nero, ma io ero costretto come ogni mattina a presentarmi ...Leggi tutto
La prima volta a Roma
Ci sono molti doni che possono salvare/cambiare la vita. Non sono necessariamente un rene, il sangue o qualcosa di “fisico”, ma uno o più “semplici” atti d'amore. La mia prima volta a Roma, a più di 600 chilometri da casa, a 13 anni e mezzo, nel gennaio del mitico '68, è legata a uno di questi preziosi regali. Mi fu elargito e reiterato da Letizia Comba Jervis, unica psicologa (e donna) del team di Basaglia che operava all'Ospedale Psichiatrico Provinciale. Si era trasferita a Gorizia col marito Giovanni e tre figli piccoli. Là – the times, they were a-changin' – i “matti” venivano considerati come persone e, in molti casi, liberati. Ebbi la fortuna di incrociare il mio cammino con il suo, per via di difficoltà familiari e personali. Quasi 50 anni dopo mi capita di scoprire che negli anni della reciproca frequentazione faceva conoscere Ronald Laing in Italia, scriveva la prefazione de' L'io diviso, collaborava con l'etnologo Ernesto De Martino. Tra mille altri impegni, si occupava anche di me. Fu lei in quel gennaio, di fronte a una situazione che stava precipitando a chiedermi se avevo un sogno, un desiderio che avrei voluto realizzare. Essere a Roma nel pubblico di “Bandiera Gialla”, trasmissione radiofonica con le hit del momento, condotta da Gianni Boncompagni, fu la mia risposta. Nei giorni successivi si mossero mari e monti, con la diretta partecipazione di mia mamma. Insieme telefonammo dall'unica cabina pubblica del paese, nel bar della piazza, per concordare data e biglietto. In quei tempi i telefoni pubblici avevano solo il ricevitore in cabina e il numero doveva essere digitato dall'esterno, dal barista in questo caso, un gran pettegolo. Immancabilmente anche i fatti più privati diventavano così di dominio pubblico.
Qualche giorno dopo mi ritrovai nottetempo su un treno diretto alla Capitale, nel vagone cuccette, insieme con Letizia. Fu il primo grande viaggio, una sorta di imprinting per tanti altri viaggi, anche solo metaforici, della mia vita. Arrivati a destinazione di prima mattina, Letizia mi condusse da una signora piuttosto anziana e molto gentile che mi ospitò per alcune notti. Al pari dei “consulti” in quel di Gorizia, quasi tutto era senza alcun pagamento, gratis, di cuore. Ricordo che la casa a Roma era molto pulita anche se modesta e che per lavarsi c'era un catino su un treppiede di ferro bianco. I giorni successivi fui lasciata da sola, viaggio di ritorno compreso e me la cavai alla grande. A Roma mi potevo mischiare con l'allegra gioventù hippie che invadeva la capitale di colori e di allegria. Indossavo un paio di pantaloni verde fosforescente a zampa d'elefante che avevo comprato per l'occasione in un negozio di Monfalcone. Come omaggio per l'acquisto, mi avevano dato alcuni medaglioni che orgogliosamente appuntavo sulla maglietta. Il più grande dichiarava, a lettere blu su sfondo bianco: – Men wanted, experience not required –. All'epoca ero ignara del significato perché non conoscevo l'inglese, come quasi tutti del resto. Infatti a Roma la spilla non venne fraintesa e nemmeno successivamente ebbi problemi di sorta. Scoprii il vero significato anni più tardi. Mi feci una gran risata. A Roma fui autonoma per tutte le incombenze logistiche: passare in portineria da Boncompagni per ritirare il biglietto, raggiungere gli studi, ecc. Incontrai anche un ragazzo che bighellonò un po' in giro con me. Si chiamava Nicola e faceva il camionista. Qualche tempo dopo passò a salutarmi nel profondo Nord Est. Quanto a Bandiera Gialla, ricordo che tutti – me compresa – gridavano per l'eccitazione e la gioia, potei salutare le mie compagne di classe dal microfono del palco. Patty Pravo era ospite del programma. Vinse la puntata “OB-LA-DÌ, OB-LA-DÀ” dei Beatles che erano e sono i miei preferiti. Al ritorno, prima di prendere il treno, scorsi alla stazione Termini una cabina. All'apparenza era simile a quelle nelle quali ci si infila per una rapida foto tessera. Solo che all'interno, invece di un obiettivo, c'era un microfono. Lì registrai i saluti per le mie compagne di classe delle magistrali. Con poca spesa, pochi minuti dopo mi fu sfornato un mini vinile di plastica nera che una volta a casa potei suonare/riascoltare col mio giradischi. (S)fortunatamente il mini vinile non è sopravissuto ai traslochi della mia vita. Così, nel 2005, ho fatto di quel ricordo una riedizione d'artista. Ho riscritto la storia su un dischetto di plastica trasparente. Con andamento a spirale, dall'esterno verso l'interno, le parole raccontano di quell'esperienza e di come mi sono evoluta nel tempo. Al centro ho riprodotto la mela verde dei Beatles e il titolo della canzone che in quella puntata arrivò prima in classifica.
Al ritorno da Roma la mia posizione all'interno della comunità del paese cambiò di colpo, perlomeno nella percezione dei miei coetanei. Non ero più “la figlia di” ma avevo gettato le basi per la costruzione di un'identità personale che mi avrebbe contraddistinta nel tempo. Ero ancora isolata, tacitamente invidiata per la libertà della quale potevo disporre pur nella miseria economica. Avevo sperimentato una via d'uscita: se dove vivi non c'è spazio per i tuoi sogni e le tue necessità, immaginati tu la vita che vuoi e realizzala da altre parti! Tuttavia – the long and winding road – era solo iniziata e furono anni duri. La boccata di ossigeno che potevo prendere nel periodo estivo, partecipando ai campi dei Pionieri in Valtournenche o a quelli di Mani Tese a Firenze, era preceduta da un intero anno nel quale dovevo confrontarmi con le quotidiane difficoltà. Riuscii comunque a diplomarmi. Dopo che la giovane psicologa se n'era andata a Reggio Emilia, nell'autunno del 1969, pur dispiaciuta, sapevo che potevo contare sull'umana disponibilità anche di altre persone conosciute a Gorizia. Avevo aperto il mio cuore. Così, una volta, per esempio, una volontaria molto vicina ai problemi della mia famiglia, mi portò con lei per Pasqua, dai suoi genitori in Liguria. Facemmo il bagno nell'acqua gelata e mangiammo cioccolato fondente. Ricordo sul comodino accanto al letto dove dormivo, una copia di Papillon. Quel mitico viaggio a Roma fu la matrice di tante cose belle, in qualche modo impedì che la mia insicurezza ontologica, l'incrinatura nel ghiaccio della mia personalità che si andava formando diventasse spaccatura. È allora che, come scrisse Letizia in una prefazione di Laing – … l'acqua sale e i pezzi di ghiaccio si sparpagliano isolati … un processo malato, di una vicenda personale, di un uomo –. Dal 1969 non ho più visto Letizia. Da poco ho saputo che ha lasciato questo fisico mondo nel 2000. Negli anni Ottanta ha insegnato nelle università di Urbino e Verona dove teneva dei seminari molto particolari che univano arte, performance, musica, esperienze sensoriali allargate. Vi ha partecipato anche il cantautore Franco Battiato. Scoprire queste cose, nei miei primi anni sessanta, dopo aver passato 20 anni della mia vita nell'insegnamento e altrettanti fin qui, come artista, nella pittura e nella performance art, mi ha fatto un certo effetto...
L'amore può spostare montagne e dare frutti dopo, quando le circostanze sono più favorevoli. Così mi sento, quasi cinquant'anni dopo, di aver avuto il privilegio di essere stata forse una delle prime studentesse di Letizia, piuttosto che una sua paziente. Capisco quanto preziosi siano stati i semi che ho raccolto dalla sua frequentazione. Ho sentito l'obbligo di custodirli e coltivarli con cura in modo che potessero fiorire e fruttificare più tardi. Ora comprendo che la mia ricerca (artistica) sul corpo, partita da un problema di alimentazione, non è ancora finita, com'è logico che sia nello scorrere della vita. La scelta di evolvermi con la performance proviene dalla necessità di vivere e districare i conflitti, ma anche le possibilità, all'interno e all'esterno di me. Nello stare al mondo non siamo soli e ci collochiamo nel Tempo. Non finiamo mai di evolverci, di lottare per stare meglio e di sperimentare nuovi equilibri e “guarigioni” imperfette. Con cuore aperto e la pratica quotidiana di amore, passione e libertà anche i sogni più impegnativi possono qualche volta diventare realtà.
Grazie Letizia.
Laura Cristin
Ci sono molti doni che possono cambiare la vita. Non sono sempre un rene o il sangue, ma “semplici” atti d'amore. La mia prima volta a Roma, a più di 600 chilometri da casa, a 13 anni, nel gennaio del mitico '68, è legata a uno di questi preziosi regali. Mi fu elargito da Letizia Comba Jervis, unica psicologa (e donna) del team di Basaglia che operava all'Ospedale Psichiatrico Provinciale. Andai a “Bandiera Gialla” e vinsero i Beatles con “OB-LA-D&Igra
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Sarah Maestri - Testimonial
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