In bici senza rotelle

Andare in bicicletta era una cosa che sognavo di fare fin da piccolo, e da piccolo in effetti già la facevo. Non ricordo quando iniziai a muovere i primi passi, ma ricordo benissimo quanto mi divertii nel prendere in mano per la prima volta la piccola bici che il nonno mi aveva regalato per il mio ottavo compleanno.
Piccola, verde acqua, non troppo ricercata e particolare, ma era mia, era la mia prima bici e la mia prima volta in sella alle due ruote. Ci avevo messo un po’ ad ambientarmi, anche scontando qualche caduta in giardino, ma alla fine ero riuscito ad imparare, e cosa che mi inorgogliva particolarmente, lo facevo senza rotelle!
Ricordo l’orgoglio dei miei parenti, il mio cuore battere e la terra che scorreva veloce sotto le ruote; io me la lasciavo alle spalle, mi inorgoglivo sempre di più e mi lanciavo oltre la barriera dei sogni per scoprire quel mondo fatto di strade, sentieri, siepi e percorsi inesplorati che prima avevo visto solo al di fuori del finestrino della macchina, come un lungometraggio girato davanti alla mia fantasia. Oggi scrivo di quei momenti, di quei giorni, di quel lungo andare per sterrati e parchi, giardini e percorsi, in sella alla mia bici e nient’altro per la testa.
Correva fiammante lungo i viali, sfrecciavo sempre più veloce intorno al quartiere di casa e mi divertivo ad essere sempre più bravo in sella a quel piccolo sogno realizzatosi in due ruote e un telaio. Ogni tanto mi perdevo a guardare i raggi, li guardavo girare perfetti, simmetrici, costanti nel loro ticchettio roteante, un suono dolce che scandiva i miei pomeriggi e le mie giornate, i miei giorni e i miei mattini, le serate in giro con papà lungo quei selciati strani e avvincenti che scoprivo lentamente, grondando felicità da tutti i pori della mia pelle di bambino.
“Non ci credo, sto volando!” pensavo, mentre le fronde degli alberi scorrevano sempre più veloci sopra la mia testa, come se fossi stato in procinto di decollare verso il cielo azzurro, lassù, sempre più vicino alle nuvole.
“Possibile? Sto davvero viaggiando così lontano da casa?” mi chiedevo voltandomi indietro, salutando con fare irrispettoso e ingenuo quel cancello che più pedalavo e più diventava una piccola finestra su quello che era stato il mio nido prima, le quattro mura dentro le quali accudire la mia giovane età.
Finalmente in sella, finalmente si cavalcava di pari passo con i genitori, finalmente le mie gambe corte di bambino non erano più un limite: potevo correre più veloce degli altri bambini, scappare o inseguire all’occorrenza, acciuffare il piacere della novità, dell’avventura, della fantasia.
Quanto mi inorgogliva fare tutto questo senza l’aiuto delle rotelle; è vero, le ginocchia e i gomiti tenevano il conto dei miei errori e delle mie distrazioni una dopo l’altra, accatastando le cicatrici sopra alla mia pelle levigata, ma erano emozioni vere, era la mia testardaggine che affiorava per la prima volta e per le prima volta mi educava a perseverare nei miei sogni per arrivare lì dove volevo arrivare. Quante cose mi ha insegnato quella bici, quante altre l’esperienza di guidarla con il vento tra i miei capelli biondi di bambino. Ora di quel vento e di quei capelli rimane ben poco, ma di quel vento respiro ancora le ambizioni, i sogni, le speranze, soprattutto i progetti.
Oggi ricordo la prima volta in sella, e la volta dopo, e quella dopo ancora: erano tutte delle fantastiche prime volte, dei momenti in cui mi mettevo in gioco e mi realizzavo, dal primo momento in cui salivo sulla bici fino a quando la parcheggiavo nel garage dietro casa.
I miei ricordano ancora quei momenti come quelli in cui avevo rivelato la mia natura di bambino, il mio essere di sognatore e fautore di tante nuove avventure. Ricordano la mia fronte sudata, il modo irrequieto e impaziente con cui raccontavo i posti che avevo visto, per me lontani ed esotici come avventure di Corto Maltese, per loro il mondo ordinario dietro l’angolo di casa, ed erano complici nel sorridermi, nell’emozionarsi per me e le mie fantasticherie.
Ero piccolo, ma avevo già realizzato un piccolo sogno ed era quello che mi avrebbe poi aperto molte altre strade negli anni a venire. Cosa ricordo quindi di quelle prime volte? Cosa ho imparato da esse? Che la vita, le nuove esperienze e in questo anche la donazione devono essere vissute con lo stesso, immancabile e rinnovato ottimismo, senza lasciare mai nulla al caso, senza pensare che ci sia la volta numero uno, la volta numero due e quindi la tre e via dicendo; no, in sella alla mia bici ho imparato proprio il contrario, che ogni volta è la prima volta, che “non si sale mai sulla stessa sella”, che posso prendere il controllo del mio destino pedalata dopo pedalata, e che posso aiutare gli altri a scoprire il proprio donazione dopo donazione. Ecco quindi, la morale della mia storia, della mia prima volta, della mia vita è proprio questa: vivere ogni avventura come se fosse la prima volta!

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#LaPrimaVolta #figli #Amore #speranza #lavoro

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La prima volta che ho ricevuto una trasfusione di sangue? Avevo due anni e mezzo. Ho dei bellissimi ricordi di quei momenti che hanno contrassegnato la mia infanzia, tra camici bianchi, esami e terapie per combattere una malattia emolitica.

#LaPrimaVolta #donazione #AVIS #sangue #AvisNazionale #SarahMaestri

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