La prima volta con la musica

Avevo nove anni quando posai per la prima volta le dita sulla tastiera di un pianoforte.
Le dita scivolarono paradossalmente sicure sui tasti bianchi e neri.
La mano sinistra seguiva un dettato che sembrava da sempre esser stato riconosciuto dal sangue che mi scorre nelle vene, mentre la destra più determinata la seguiva.
Scovai la tastiera elettronica in camera di mio cugino.
Mio zio mi disse di provare. Magari potevamo frequentare insieme la stessa scuola di musica, in fin dei conti era la prima volta per entrambi.
Quando entrai per la prima volta a scuola mi si paralizzarono le gambe.
Difficile che avrei parlato con quell’insegnante che poco sorrideva.
Con quell’uomo che nascondeva la superbia dei suoi anni di esperienza sotto i baffi.
Tuttavia più imparavo a riconoscere il suono e il nome delle note, più amavo la musica. Sentivo un senso di onnipotenza nello scoprire che dagli spartiti dove le note, non erano che punti neri su fogli bianchi, fuoriuscisse una melodia creata dai miei polpastrelli.
La musica sarebbe stata da quel giorno in poi la mia compagna di una vita. Sarebbe stata domata come un drago del mare, mi avrebbe incendiato i sensi e mi avrebbe donato quel senso di libertà che pervade il corpo e l’anima come una scossa di adrenalina.
Lo stesso anno che iniziammo a frequentare i corsi di musica fummo scelti, mio cugino ed io, per il saggio finale, evento avvenuto nel mese di maggio.
L’ansia mi corrodeva i muscoli, le dita mi tremavano e i palmi delle mani sudavano.
Ma quella sera mi sentivo una principessa. Avevo un vestito lungo a fiori colorati e i capelli lunghi raccolti in tanti boccoli. Il palcoscenico lo avrei condiviso con altri tre bambini, però era pur sempre la prima volta.
Salii mentre il legno scricchiolava sotto le suole delle mie scarpe lucide e bianche. Stringevo forte lo spartito al petto. Le luci si abbassarono su di noi. Non vedevamo gli occhi del pubblico ma li sentivamo sulla pelle.
Mi accomodai titubante al mio strumento dove posai le dita ricurve. Tremavano, continuavano a tremare.
Sullo sgabello mi accorsi che le mie gambe dondolassero e i piedi non toccassero terra.
Feci un bel respiro guardando gli altri e mi concentrai sulle semiminime che accompagnavano il pentagramma.
Il sangue non mi mentì. Scorreva energico nelle mie falangi che terminarono la loro missione di creare, plasmare, donare musica.
Fu a undici anni che il maestro mi propose un concerto da solista.
Sudai a freddo e gli sorrisi sorpresa.
Non potevo farcela. Come si poteva stare da soli su quel palco con tutta quella gente seduta, lì immobile, per te.
Avevo paura delle delusioni, avevo paura di sbagliare, avevo paura di cadere in una crisi isterica e morire per l’agitazione.
Per giorni, tornata a scuola, mi sedevo al mio piano, posto ad un angolo del salotto di casa.
Mi esercitavo fino a quando i nodi creati alle ossa delle dita non si sciogliessero. Inciampavo e ricominciavo. Riprendevo dalle battute dove ero stata più insicura. Alla sera, per non disturbare, continuavo a studiare sulla tastiera in camera, dove potevo collegare le cuffie e isolarmi dal mondo.
Quando suoni è come se all’improvviso si alzasse un vento. È un vento potente e ha una forza rigeneratrice ineguagliabile. È difficile spiegare come il pensiero diventi emozione, sensazione, vibrazione, staticità e instabilità, è come la pioggia dell’autunno e i petali dei fiori in primavera portati lontano dalla brezza, è come il mare che parla con le onde dolcemente o con rabbia, è come la neve leggiadra che danza di notte sotto la luce dei lampioni a Natale.
Avevo studiato così tanto, probabilmente era per questo che l’ansia di quella sera, quella volta del concerto, era indescrivibile. Mi seccava la gola, mi appannava la vista, mi creava confusioni allo stomaco e alla mente.
Il pianoforte mi attendeva al centro del palcoscenico.
Era la prima volta. Sola davanti a tutti.
Volevo scappare. Volevo fingermi malata. Volevo fermare il tempo.
I respiri lenti e cadenzati non servirono a molto.
Da dietro le quinte mi presentai con passo esitante sul palco.
Le luci illuminavano un solo punto che coincideva con il mio.
Mi sedetti senza alzare lo sguardo. Non potevo, non volevo, guardare la moltitudine di volti offuscati dal riverbero. C’era un silenzio che rompeva tutte le sicurezze.
Mi attendevano.
Sospirai. Posai le dita ricurve sui tasti. Alzai le palpebre e guardai le prime misure del brano.
Oramai appartenevano alla mia memoria.
Mi accorsi per un attimo che le mie gambe non dondolassero più dallo sgabello e che i piedi toccassero il legno del palco.
Un altro sospiro.
Le dita seguivano un ritmo di cui era già in possesso il mio cuore. I suoni erano partoriti dalle crome e semicrome che leggevo di sfuggita. Erano già incise sul pentagramma del mio sudore.
Giravo velocemente le pagine con la mano sinistra mentre la destra continuava a perseguitare la melodia, era come se la corteggiasse senza mai raggiungerla, poi tornava la sinistra amplificando il dolore e la gioia.
Il primo brano stava per terminare.
Le mie mani sembravano le gambe tese degli atleti che stavano per raggiungere il traguardo di una corsa.
Chiusi con l’ultima nota. Una semibreve. Un momento di pausa e poi gli applausi.
Le mani batterono così forte che mi svegliarono dal torpore della concentrazione. Finalmente alzai gli occhi. Feci un accenno a un inchino con un sorriso di stupore e gratitudine.
Continuai poi a percorrere le montagne della musica fino al termine del concerto, momento in cui incrociai gli occhi del mio maestro. Sotto i baffi non notai superbia, ma l’orgoglio dei suoi insegnamenti. Poi guardai quelli dei miei genitori. Erano lucidi. Si erano commossi.
La musica mi temprava, è come l’ossigeno che portano i globuli rossi.
Ed oggi non posso che trasmettere questo stesso amore, donare le mie prime volte ai bambini a cui insegno.
I bimbi saranno il sangue della nuova società e spero che l’importanza del dono sarà per loro come un vangelo scritto non di parole ma di gesti.

Finalista
La prima volta con la musica
Giorgia Spurio
28 anni

Ho scoperto la musica a nove anni. La prima volta con il pianoforte. La prima volta con le mani tremanti e sudate. La prima volta con la passione che scorre nel sangue, incurante del mondo che è fuori, perchè c'è un angolo che racchiude me e la mia musica. La prima volta in concerto. La prima volta davanti a tanti occhi. La prima volta in cui l'energia prende forma, è quella delle note scritte sugli spartiti, è quella partorita dalle mie dita, è quella c

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Io ero determinata a donare e mio padre, quasi a protezione, mi ha accompagnata...quella mattina di 14 anni fa doppia sorpresa: anche lui ha deciso di provarci! Qui siamo al nostro primo traguardo, ovviamente sempre insieme! L'emozione è stata tanta, orgogliosi l'uno dell'altro per aver cominciato e continuato questo percorso.

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La prima volta che ho ricevuto una trasfusione di sangue? Avevo due anni e mezzo. Ho dei bellissimi ricordi di quei momenti che hanno contrassegnato la mia infanzia, tra camici bianchi, esami e terapie per combattere una malattia emolitica.

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