LA PRIMA VOLTA IN CUI APPREZZAI DAVVERO IL TEMPO

Ieri mattina il mio cane è morto. E’ successo tutto molto velocemente, per complicanze cardiache dopo una crisi epilettica di questo venerdì.
Se n’è andata in due giorni - la mia bimba - due giorni in cui per me e la famiglia il tempo si è fermato. Vorrei poter dire che non ce l’aspettavamo, che tutta questa storia ci ha colti di sorpresa, ingenui e impreparati , ma non è così. Vorrei anche poter dire che proprio per questo, fa ancora più male perché ci ritroviamo qui , a riprenderci da qualcosa che non avevamo neanche visto arrivare.
Ma la verità è che ciò che ci ha sorpreso, che ci ha lasciati davvero di stucco non ha che vedere con nessuna di tutte queste cose.
Il nostro era un cane malato, uno di quei cani impegnativi e dispendiosi che una volta scoperta la patologia vengono abbandonati, soppressi o nella migliore delle ipotesi, affidati ai rifugi e alle associazioni.
Certo non tutti possono permettersi di prendersi cura di un animale che ha dei problemi : ma quando ti capita, sta a te fare in modo di evitargli la fine peggiore. E’ una scelta, come tutto. E un cane malato, volente o nolente, ti stravolge la vita. Capovolge del tutto la tua idea di amore,felicità, dolore.
In tutti questi anni a sbalordirci non è mai stato il pensiero che lei morisse, bensì l'idea che, malgrado la sua malattia, lei fosse ancora con noi. Il vederla lottare e avere appetito,in barba ai calcoli ai reni, alla cecità, alla milza coi noduli e ad altri innumerevoli sintomi neurologici ,lontani anni luce dal far supporre una vita lunga. Il fatto che fino a qualche mese fa, con le zampe scricchiolanti e 5 kg scarsi fosse ancora in grado di correre meglio di quanto non camminasse; che da sempre fosse capace di andare al guinzaglio come un qualsiasi cane normale.
Con Amy in casa avevamo imparato a fare amicizia con l’idea della morte : era diventata una costante nei nostri pensieri, nel modo in cui, a volte anche esageratamente , ci prendevamo cura di lei. L’abbiamo vista star male e riprendersi tante di quelle volte, che, malgrado ogni crisi allentasse un po’ il filo, e i veterinari non fossero mai del tutto ottimisti, razionalmente eravamo pronti. O perlomeno coscienti.
Sapere che una candela durerà la metà ti spinge ad apprezzare i colori, la forma e la bellezza della sua fiamma. Ti spinge a goderti ogni istante del suo calore, a riscaldarti ed a leggere e scrivere il più possibile con la sua luce.
Per Amy è stato così. E’ stato un gran sacrificio,in termini di tempo, denaro, dedizione. E’ stato un percorso burrascoso, un’altalena emotiva di ansie e brutti pensieri. Ma se tornassi indietro, rifarei tutto daccapo..L’impatto di una cosa del genere sulla vita di una persona, nella quotidianità di una famiglia, non è da sottovalutare. Non tutti ce la fanno.: bisogna osservare tutto e tanto, per poi intervenire, sperare per il meglio e simultaneamente prepararsi al peggio, in una perenne corsa contro il tempo.
Noi, questa volta non ci siamo riusciti.
Amy se n’è andata ieri, in una mattina uggiosa, a dieci anni e 10 mesi.
Un arresto cardiaco,niente di oscuro e indecifrabile, una morte da manuale per un animale anziano,sano o malato che sia.
Se n’è andata da sola, senza che noi ci fossimo, risparmiandoci lo strazio di dover decidere per lei.
Ancora una volta ha stravolto i nostri piani, le aspettative mediche, i pronostici, le statistiche.
Ci ha sorpresi fino all’ultimo, e ci ha anche fregati , stavolta per sempre.
E’ stato questo che ci ha permesso di insistere, di continuare a prenderci cura di lei: la gioia che ho provato tutte le volte che l’ho vista uscire da quell’ospedale non trova ancora confronto con ciò che di bello ho vissuto in questi anni. Resta lì, dolce ed eterna, unica e incomparabile con nient’altro in questo mondo.
Da ieri passo in rassegna ogni istante prima di quel venerdì mattina : una sequela di gesti normalissimi, in cui tento disperatamente di individuare un cenno, un segnale premonitore, un campanello d’allarme.
Ma per quanto mi sforzi, non riesco a trovare niente. Posso dire che fino al giorno prima ha dormito serena, mangiato normalmente e autonomamente, camminato e fatto i bisogni senza anomalie o comportamenti strani. Posso dire che giovedì mattina mi sono alzata per farle la pappa, le ho dosato la ricotta, i cereali, il lattulosio. Le ho smezzato le pillole e sciolto i cubetti di zucca, unica leccornia della sua dieta ipoproteica. E che la sera tardi, quando sono tornata dopo il lavoro, l’ho trovata sul cuscino come un bimbo in pancia, le ho accarezzato un po’ la testa e sono andata a dormire.
Il suo ultimo giorno a casa.
Una giornata normale, senza niente di assurdo, felice, triste,indelebile e memorabile. Uno di quei giorni talmente ordinari e insipidi e incolori che fatichi a pensare che sia proprio l’ultimo.
Sabato, mentre lei era ricoverata, un po’ per distrarmi un po’ perché devo, ho iniziato a scrivere la mia tesi di laurea. Fuori c’era il sole e faceva caldo. Ero sul mio divano col pc sulle gambe a cercare materiale su stakeholders e business ethics.Ma persino andare su Google aveva un che di alienante, pesante, faticoso. Così ho spento il computer, e sono andata alla clinica.
Sono scesa a vederla, l’ho accarezzata a lungo, in un fiume di lacrime. Accanto alla gabbia di Amy, Mozzarella, un gatto caduto dal terzo piano, prossimo alle dimissioni. I proprietari mi hanno fissato più volte con la coda dell’occhio. Mi hanno guardato mentre piangevo senza riuscire a smettere. Amy giaceva sedata su un lato sotto una coperta verde, da cui era percepibile soltanto il suo respiro. I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi,avevano perso ogni luce e faticavano a stare aperti. Il movimento del diaframma sembrava l’ultimo accenno di vita rimasto in lei. Per quanto scossa, cercavo di imprimermi nel cuore quell’immagine straziante e piena di forza, toccante. Niente, un domani, avrebbe mai potuto offuscarla.
Eravamo insieme, sole,e senza saperlo ci dicevamo addio. Le accarezzavo la testa. Mi ricordo solo che le accarezzavo la testa. Come ogni sera, a casa.
Poi ha cominciato a tremare..ho avvertito le infermiere che le hanno aumentato il dosaggio dell’anestetico.
Mi hanno fatto capire che avrebbero dovuto maneggiarla per cambiarle la flebo. Io volevo stare con lei un altro po’, ma vederla tremare di nuovo è stato orrendo. Ho avuto paura e sono andata via. Le ho detto ci vediamo domani amore…Ora che ci ripenso, non ci credevo neanche io.
Prima di tornare a casa, mi sono seduta su una panchina. Ho pianto, pianto, pianto come se tutto fosse già finito.
La mattina seguente, Amy non c’era più.
L’ultimo regalo,l’ennesima emozione,l’avermi aspettata prima di andare via. Credo non ci sia molto altro da aggiungere. Quell’ ULTIMA mezzora, l'ultimo ricordo che ho di lei, è uno dei più belli e strazianti della mia vita.
E anche adesso mentre scrivo al pc mi sembra di saperla di là,sprofondata nel cuscino, nella sua cuccia che dorme.

Dentro di me sono felice di essere stata lì, con lei da sola, di essere stata l’ultima della mia famiglia a vederla viva. Spero solo che più in là, questo mi aiuti ad superare il dolore. So che non sarà facile e che il più delle volte, all’ inizio, mi sembrerà di non farcela. Checchè se dica , è il tempo il vero miracolo. Finora, di tutta questa storia ho capito che al mondo non c’è davvero nulla di così prezioso. Per quanto spesso risulti impossibile da capire,il tempo scorre e basta, allevia le nostre ferite, ma non ci priva del dolore. In realtà non ci porta via niente. Come con la gioia, non lo cancella né l’uccide,non lo accartoccia né lo strappa.
Tornando a casa ho costeggiato il parco e dai cespugli ho intravisto un pastore tedesco con il suo padrone..giocavano con una pietra. Come facevo io con il mio , quasi quindici anni fa. Sono rimasta a guardarli e un pezzo del mio cuore è tornato indietro. Non crederò mai sia stato un caso. Senza saperlo avevo appena salutato Amy per l’ultima volta e un altro pezzo della mia infanzia era lì davanti ai miei occhi. Il tempo è tutto ciò che abbiamo. Amy l’ha sfidato,battuto,logorato. Ha vinto lei. Stanotte, in questa casa buia e grande , mi sembra di sentire il ticchettio delle sue unghie sul pavimento in cucina. La rigirarsi nella cuccia, mentre sogna di correre. Sembra quasi che non sia cambiato niente e invece è cambiato tutto. La sento vicina e mi dà energia. Certo, adesso entrare in cucina , la sera tardi è più difficile, per non dire straziante. Diventa più sopportabile quando ci sono le luci accese e sono tutti a cenare. Chiudo di istinto il balcone. Non riesco più a lasciare aperta la porta. L’ho sempre chiusa per evitare che le altre cagnoline, un po’ più vispe e un po’ più in salute la disturbassero. Anche aprire il freezer non è per nulla facile. Le scorte di zucca sono ancora lì, belle e preparate. E così, la pappa, la ricotta, la scatola degli antibiotici, il cuscino, la medaglietta. Solo la cuccia non c’è più. Ma è importante che quello spazio sul pavimento dove lei dormiva rimanga libero e sgombro da mobili. Mi servirà un posto in cui rifugiarmi, quando le lacrime lo imploreranno o la malinconia mi raschierà il cuore.
Qualche mese fa, quando ancora poteva, la portavo a spasso molto presto. Io stavo passando un brutto momento e vederla correre e scodinzolare allegra nella luce del mattino, malgrado la sua età, mi rasserenava. La pace di quei giorni mi accompagnerà per sempre.
Stamattina ho trovato un video di Amy sul pc. Credevo di averlo perso quando ho fatto il back up. Ho rivisto quei 47 secondi di lei per più di mezzora. Penso che lo farò di nuovo, tante volte ancora.
La tastiera del pc è ormai un insieme di lettere confuse. Io nel frattempo ho finito i fazzoletti. Ma devo continuare. In tutti i sensi. Il tempo è prezioso. E chi si ferma,non vince quasi mai.

LA PRIMA VOLTA IN CUI APPREZZAI DAVVERO IL TEMPO
Claudia
24 anni

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Io ero determinata a donare e mio padre, quasi a protezione, mi ha accompagnata...quella mattina di 14 anni fa doppia sorpresa: anche lui ha deciso di provarci! Qui siamo al nostro primo traguardo, ovviamente sempre insieme! L'emozione è stata tanta, orgogliosi l'uno dell'altro per aver cominciato e continuato questo percorso.

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Sarah Maestri per Avis e #LaPrimaVolta
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Sarah Maestri - Testimonial

La prima volta che ho ricevuto una trasfusione di sangue? Avevo due anni e mezzo. Ho dei bellissimi ricordi di quei momenti che hanno contrassegnato la mia infanzia, tra camici bianchi, esami e terapie per combattere una malattia emolitica.

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