La palestra

Apro la porta antincendio e si apre davanti a me una sala molto grande, tutta illuminata, con degli enormi specchi alle pareti, un enorme tappeto blu e delle sedie attaccate a un muro dove sono seduti alcuni genitori che leggono il giornale. E pensare che, a prima vista, mi era sembrato solo uno scantinato. Invece, incredibile a dirsi, è proprio una palestra il luogo dove mi trovo.
Allora l’indirizzo era giusto, ora non ho più scuse devo entrare. Mia madre mi saluta con la mano ed esce, io lentamente, e con timore, entro con la voglia disperata di essere altrove in quel momento.

Era stato il professore di ginnastica delle medie a consigliare a mia madre di iscrivermi a un corso di arti marziali perché fossi meno goffo e rigido. Era un modo per stimolarmi e darmi una sbloccata vedendo gli scarsi risultati durante le ore di ginnastica. Non ero certo un bambino facile, io. Il ragazzino più timido e introverso della classe, per giunta debole e magrolino e, quindi, la vittima prediletta dai bulli della scuola.
Devo dire che all'inizio la proposta mi aveva lasciato un po’ perplesso: come potevo, io, fare arti marziali? Precisiamo che, fino a quel giorno, la mia idea di sport erano le partite di calcio e basket che guardavo in televisione con allenamento delle dita per cambiare da un tasto all'altro e salto sul divano. Pensavo che, se mai avessi fatto sport sarebbe stato, al massimo, basket come i miei fratelli, in famiglia eravamo tutti abbastanza alti e seguivamo le partite in tv la domenica pomeriggio.
Certo l’idea di fare arti marziali mi affascinava ma, allo stesso tempo, provavo un certo timore. E se poi mi fossi fatto male? Non è che non mi piacesse l'idea ma mi sentivo poco adatto per certe cose.
Tuttavia mia madre pensò, giustamente, che vedere facce nuove e fare nuove esperienze mi avrebbe aiutato. Era un’esperienza da provare, secondo lei. Insomma , non avevo scuse.
Così ci eravamo informati e avevamo scoperto che poco distante da casa nostra, a circa due isolati, c’era una palestra dove si teneva un corso di judo. Il posto era seminascosto e certo se non l’avessimo cercato non avremmo mai scoperto la sua esistenza.
La palestra si trovava (si trova ancora), infatti, in una vecchia palazzina degli anni Cinquanta dove ha sede un circolo Arci. Appena arrivati all’entrata, una grande porta di vetro, il cartello con scritto “palestra” indica di scendere le scale andando di fatto sotto terra, una specie di scantinato. Qui si trova, per l’appunto, la palestra: un immenso tatami blu circondato da specchi e lo spogliatoio con le docce.
Dunque, dicevamo, eccomi arrivato in quella che, da ora in poi, sarà il luogo dove verrò introdotto alla nobile arte del judo. La prima visione è quella di una decina di ragazzi della mia età e anche più giovani che si muovono armoniosamente sul grande tatami blu sbattendosi a terra l’un l’altro. Non male come inizio.
Io sono arrivato in tuta, per il primo giorno di prova non è necessario indossare il judogi, il kimono che funge da divisa per quelli che fanno judo. Quindi attorno a me vedevo gli altri che, con rapidità e con movimenti sicuri, si mettevano quella specie di accappatoio bianco e si stringevano le cinture in vita.
Mi viene incontro un signore simpatico che mi si presenta come il sensei, il maestro di quella palestra, una parola che imparerò ben presto a usare con grande rispetto.
Mi dice di non preoccuparmi se non capisco quello che sta succedendo: nessuno lo sa per questo veniamo in palestra per imparare. Ricevo così la prima lezione in palestra: saggio non è “colui che sa” ma “colui che cerca di sapere”.
Così comincio a muovermi sul tappeto blu. La prima nozione è come si cade a terra senza farsi male, che, mi dicono, è la cosa più importante da sapere.
Mi fanno fare degli esercizi che all'inizio faccio meccanicamente poi mano a mano in maniera sempre più sciolta, imparo gli ukemi, le cadute, e ben presto anche qualche prima tecnica di judo. Mentre sono lì che mi esercitano arrivano anche gli altri che non mancano di darmi qualche consiglio per migliorarmi. Un modo per conoscersi meglio e per fare amicizia più velocemente. Finisce così la prima lezione e io mi sento più leggero, e anche soddisfatto aggiungerei. La tensione è scesa e il tempo mi sembra volato via in un attimo.
La sera torno finalmente a casa, stanco ma soddisfatto. È la prima volta che mi sento soddisfatto di me, soprattutto perché ho appreso qualcosa che sento veramente come mio. Sento che qualcosa dentro di me si è affettivamente sbloccato mi sento più sicuro di me stesso.

Questa è stata nell'ordine: la prima volta che decisi di fare seriamente sport, la prima volta che presi coraggio in vita mia, il mio primo impatto con il judo e la sua filosofia, passione che prosegue ancora oggi, il primo impatto con la palestra, luogo che sarebbe diventato per me di fondamentale importanza, la mia seconda casa, la prima volta che mi sentii soddisfatto di me.

E, per inciso, i bulli della scuola hanno poi smesso di darmi fastidio.

La palestra
jackiechan90
25 anni

la prima volta che ho provato a fare arti marziali, un mondo a parte che ho imparato a conoscere nel tempo e che mi ha fatto conoscere tante belle persone che mi hanno accompagnato e che continuano ad accompagnarmi ancora oggi nella vita. Da qui ho imparato a vincere le paure e a buttarmi nelle iniziative senza remore o paure.

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